Che cos’è la mentalizzazione
Si chiama mentalizzazione ed è la capacità di leggere la mente dell’altro al fine, prevalentemente, di comprenderne le intenzioni a partire dal comportamento osservabile, per potervi adeguare il proprio. È una capacità che si acquisisce in maniera stabile intorno ai quattro anni di età, per cui è chiaro che la palestra principale in cui ci si allena a mentalizzare è il contesto familiare.
I neuroni specchio
Gli esseri umani sono naturalmente predisposti a leggere le menti grazie alla loro dotazione neurobiologica. Precisamente, la mentalizzazione è assicurata dalla presenza nel nostro sistema nervoso centrale dei neuroni specchio, ovvero delle speciali cellule nervose che si attivano mentre si guarda qualcuno compiere un’azione, come se la stessimo compiendo noi stessi. Se ad esempio osserviamo qualcuno allungare un braccio in direzione di un tavolo su cui è posta una bottiglia d’acqua, nel nostro cervello si attivano gli stessi neuroni che si attiverebbero se volessimo noi stessi afferrare la bottiglia d’acqua, con il risultato che immaginiamo automaticamente che il reale esecutore di quel movimento voglia bere. Riusciamo cioè a prevedere e ad interpretare più o meno correttamente le motivazioni sottostanti al comportamento altrui.
Fallibilità della lettura della mente
Ho scritto “più o meno correttamente” perché la mentalizzazione non è di certo un superpotere, come la telepatia. Essa non è mai un’attività così semplice, puntuale o scontata. Dato che la mente, perfino la propria, a causa dei processi inconsci, non è direttamente accessibile, la sua lettura si presta facilmente ad approssimazioni, errori e fallimenti.
Eppure proprio questa fallibilità è ciò che crea intimità tra le persone. La riparazione degli inevitabili errori reciproci di comprensione, oltre a consentire di superare i singoli malintesi, promuove dei salti di qualità nella relazione in generale, rafforzandola, grazie alla convinzione che viene in tal modo a radicarsi di riuscire insieme a superare attriti e difficoltà.
Una persona con una buona capacità mentalizzante questo lo sa ed è in grado di riconoscere apertamente la difficoltà di comprensione della mente dell’altro. Viceversa, si è visto che un bambino che abbia sviluppato una carente capacità di mentalizzazione, in determinate situazioni sperimentali, manifesterà ad esempio di credere di avere una mente “trasparente”, leggibile a prescindere dal suo contributo o dalla sua volontà di farsi capire.
Mentalizzazione ed emozioni: antidoto alla psicopatologia
Diverse ricerche hanno dimostrato che le famiglie in cui viene dedicato spazio sufficiente all’espressione di tutte le emozioni, in cui è possibile parlare di emozioni, dicendo come ci si sente nelle varie situazioni, stimolano nei figli l’acquisizione di questa abilità.
La stessa sensibilità dei genitori nel saper cogliere gli stati d’animo ed i bisogni del figlio nei primissimi anni di vita, quand’egli non possiede ancora lo strumento linguistico per poter comunicare, rispondendovi adeguatamente, predice in quest’ultimo l’acquisizione della capacità di mentalizzare. D’altronde, l’altra faccia della mentalizzazione è proprio l’introspezione, ovvero il saper identificare correttamente i propri stati interiori riflettendovi sopra e rendendoli disponibili alla condivisione con le altre persone.
Alcuni dati
Come si è detto, la capacità di “leggere le menti altrui” si sviluppa pienamente attorno ai quattro anni di vita. Si è visto che i bambini con una migliore abilità di mentalizzazione all’età di quattro anni sono bambini più capaci di interagire con i loro pari, sono meglio integrati a scuola, hanno una maggiore autostima e non presentano problemi di bullismo (sia come vittime che come bulli), rispetto ai bambini della stessa età ma meno abili a mentalizzare.
Una certa accuratezza nella lettura delle menti, che, come è evidente, assicura una maggiore efficacia relazionale, ha un ruolo fondamentale nel proteggere dal disagio psicologico e dallo sviluppo di una psicopatologia. Disagi psichici e psicopatologia sono infatti inevitabilmente correlati con la qualità delle relazioni a cui si prende parte nonché con le emozioni che riguardano tanto le relazioni esterne quanto la relazione con se stessi, il proprio vissuto di sé. La possibilità di sentire, riconoscere, esprimere e condividere le emozioni costituisce un importante antidoto contro la malattia psicologica.
La psicoterapia è il luogo in cui si può imparare a prendere contatto con le proprie emozioni, a dare loro significato, a modularle quando avvertite come pericolose o sovrastanti mentre, parallelamente, si affina la capacità di comprendere le altre menti, così da non dover più cadere ripetutamente negli stessi errori che fino a quel momento avevano condizionato negativamente la propria vita.
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