Che cos’è l’alto contatto
Essere genitori ad alto contatto vuol dire sostanzialmente favorire il contatto corporeo con il bambino fin dalla nascita, nella convinzione di rispondere così al suo naturale bisogno di accudimento, un accudimento che certamente non passa soltanto attraverso il nutrimento o altre attenzioni di ordine più pratico.
Chi adotta questo stile genitoriale in genere preferisce portare il piccolo in fascia piuttosto che nella carrozzina e pratica l’allattamento prolungato e a richiesta, così come il co-sleeping.
La tendenza generale che ispira l’alto contatto, anche nelle fasi di crescita successive, è quella di sintonizzarsi il più possibile con i bisogni del bambino, cercando di corrispondervi, invece di ritenere che vadano frustrati per chissà quali finalità educative.
Che sia una filosofia in larga diffusione, stando così le cose, è senz’altro un bene da più parti riconosciuto.
La sicurezza emotiva anche in età adulta non coincide infatti con il raggiungimento di obiettivi quali l’autonomia o l’indipendenza; al contrario, si basa sulla fiducia di poter contare sulle persone importanti, che si percepiscono come presenti e disponibili.
Si è visto inoltre che questo tipo di accudimento ha un effetto positivo anche sulla madre, riducendo notevolmente il rischio di depressione post-partum.
Fatta questa premessa, vorrei però soffermarmi sui malintesi che possono stare dietro a questo modello genitoriale e in cui alcuni genitori potrebbero incappare. Essere disponibili e sensibili verso i bisogni emotivi dei propri figli non può voler dire infatti perdere il contatto con i propri.
Un punto importantissimo da chiarire è che è necessario che i genitori si rendano il più possibile consapevoli dei propri limiti e non li superino mai.
Che cosa significa non superare i propri limiti?
Che, se ad esempio un bambino è portato a svegliarsi ogni mezz’ora di notte per ricercare il contatto con il corpo materno che lo aiuti a riaddormentarsi, questo di per sé può non costituire un problema e può non essere un comportamento da scoraggiare, a meno che non rappresenti un peso troppo grande per la madre. In quest’ultimo caso è bene che madre e bambino negozino (in un modo ovviamente adeguato all’età e al livello di sviluppo del figlio) una modalità alternativa, che sia in linea con le possibilità di entrambi.
Viceversa, la madre che si senta “moralmente costretta” – perché va di moda oppure perché le altre mamme con cui condivide pratiche e convinzioni farebbero in un certo modo o perché sente l’ansia di venire da queste giudicata – ad assecondare incondizionatamente le richieste del figlio, sottovalutando le proprie esigenze, potrebbe, seppure con intenzioni benevole, inconsapevolmente scatenare una sorta di effetto boomerang con ricadute controproducenti per se stessa ed anche per il figlio. Arriverà cioè un momento in cui, allo stremo delle forze per aver a lungo bypassato i propri bisogni in nome della supremazia di quelli del figlio, si sentirà improvvisamente oppressa e metterà in atto una strategia comportamentale traumaticamente opposta, di ritiro, poiché, semplicemente ed umanamente, non ce la farà più.
Bisogna stare attenti, poiché qualunque tendenza, anche la più fondata o la più nobile, se presa troppo alla lettera ed eseguita rigidamente, finisce per essere fraintesa e per trasformarsi in qualcosa di controindicato e quindi di sconsigliabile.
Tenere in enorme considerazione i bisogni emotivi dei bambini e sapervi rispondere in maniera sintonizzata è fondamentale per essere un buon genitore e trasmettere sicurezza ai propri figli, certo, ma non basta. Non è mai auspicabile che questi bisogni scavalchino i propri o non vengano adeguatamente commisurati alle proprie inclinazioni o caratteristiche personali.
Quand’anche la madre non si rivalga e continui a non prestare attenzione a se stessa, non solo come madre ma anche come individuo separato dal figlio, ciò non rappresenta comunque una nota positiva per la sua crescita.
Tra i vari bisogni emotivi che un bambino ha – e questo, se vogliamo, è un paradosso -, c’è quello di scontrarsi con qualcuno avvertito come indipendente rispetto a sé, che sappia porre dei limiti alle proprie richieste.
I bambini particolarmente capricciosi o aggressivi sono bambini che alzano il livello della tensione per vedere fino a che punto possono spingersi, con la speranza di non vincere sempre e ad ogni costo, ma di ricevere una risposta ferma. Quando ciò non accade, questi bambini (che facilmente diventano degli adulti sadici) si sentono come lanciati nello spazio ad altissima velocità senza incontrare dei confini in grado di contenerli. Vincendo, non hanno vinto niente.
Specificità della coppia genitore-bambino
La raccomandazione migliore che si possa fare allora è quella di relativizzare sempre in considerazione della particolare coppia genitore-bambino e del particolare nucleo familiare. Ogni coppia genitore-figlio ed ogni contesto familiare devono trovare il modo migliore e del tutto specifico di vivere le varie tappe evolutive che li attendono, rinunciando a ricette preconfezionate, che possono andare bene per alcuni ma non per altri. Va bene dunque ispirarsi all’alto contatto, purché ciò non si traduca nella sterile applicazione di regole prescritte. La parola d’ordine per raggiungere equilibrio, benessere e interazioni ottimali è: flessibilità.
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