Riporterò di seguito due esempi, presi da due diverse fonti, che riportano situazioni di vita quotidiana, i quali dimostrano come non sia utile dare consigli ai genitori su come devono comportarsi, e spiegherò perché non è questo il metodo per aiutarli ad essere dei genitori migliori per i loro figli.
Primo esempio
Nel primo esempio, una bambina ai primi passi entra in ascensore con la madre. La bambina vede i numeri dei piani sulla porta dell’ascensore che si illuminano con diverse sfumature di colore e sembra stupita ed eccitata. Ha un’espressione vivace e felice e si sporge in avanti con il corpo per cercare di afferrare quei colori e quelle luci. A questo punto la madre, che ha paura dell’ascensore, la guarda con uno sguardo che esprime ansia, la spinge indietro sul sedile del passeggino e le dice con un tono tra il concitato e l’arrabbiato di non preoccuparsi perché la corsa sta per terminare e presto scenderanno. La vignetta si ripete ad ogni sosta dell’ascensore.
Spiegazione
L’iniziale sensazione di entusiasmo provata dalla bambina viene sacrificata, perché non considerata, in favore dell’esperienza della madre – ponendo con ogni probabilità in lei le basi di una futura fobia degli ascensori, come se la paura fosse una proprietà intrinseca alla macchina stessa -, in quanto questa madre ha bisogno di condividere la “sua” ansia con la figlia e non può concepire in lei uno stato d’animo diverso dal proprio.
Scendendo, un passeggero che ha assistito alla scena fa notare alla signora che la bambina sembrava piuttosto eccitata, e non spaventata, ma il risultato è che lei distoglie lo sguardo e se ne va continuando a spingere il passeggino.
Secondo esempio
Il secondo esempio è una interessante ricerca, la quale ha rilevato come, in determinate condizioni di disagio, come nel caso di madri affette da depressione, anche se veniva indicato loro come avrebbero dovuto tenere i propri figli tra le braccia mentre li allattavano, i bambini continuavano a preferire ricevere il latte da altre figure percepite come più accoglienti.
In pratica, si è potuto constatare che quello che contava e faceva la differenza non era il modo in cui erano tenuti in braccio ma il modo in cui erano tenuti nella mente di chi li accudiva.
In conclusione
Facciamo un passo indietro e torniamo all’esempio precedente, quello della coppia madre-bambina in ascensore.
Proviamo a immaginare come sarebbe andata se il passante avesse insistito con la signora per farle cambiare punto di vista. Quasi sicuramente la signora si sarebbe sentita giudicata, avrebbe forse provato, a un qualche livello, sentimenti di inadeguatezza, si sarebbe infastidita per l’ingerenza e avrebbe detto all’interlocutore di non intromettersi, ma non avrebbe comunque preso criticamente in considerazione il proprio comportamento di attribuzione spaventosa all’ascensore, in quanto troppo consolidato e automatico per essere messo in discussione.
Se invece qualcuno avesse provato ad empatizzare con la sua ansia e la sua paura, la signora, sentendosi capita, e non attaccata, potendo esprimere le sue emozioni e vedendole accolte, oltre a condividere la sua esperienza, avrebbe avuto lo spazio psicologico necessario per riconoscere, anche in contrasto, la curiosità eccitata della sua bambina, e legittimarla.
In accordo con quanto emerso nella ricerca citata come secondo esempio, circa l’importanza del modo in cui un genitore tiene il proprio figlio nella mente, si deve concludere che, per poter facilitare un rapporto tra genitori e figli, occorre approfondire con comprensione empatica gli aspetti psicologici sottostanti i comportamenti problematici o patogeni. Occorre cioè, per promuovere il cambiamento, intervenire a un livello più profondo, attraverso un percorso di intima consapevolezza.
Al contrario, si dimostra assai sterile intervenire superficialmente, con dei consigli ai genitori, solo sui comportamenti osservati. Il sostegno alla genitorialità tiene conto di questo ed opera a più livelli.