Avete mai sentito parlare del dilemma dei porcospini? La risposta, molto probabilmente, è sì.
Per quanto, come di solito accade, la sua enorme popolarità rischi di banalizzarne il contenuto, prendo spunto da questo breve racconto di Schopenhauer, al quale riesce particolarmente bene di sintetizzare un tema che ha a che fare con le relazioni tra le persone, per trarne alcune interessanti riflessioni.
La storia:
“Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.”
(A. Schopenhauer)
Considerazioni
Le riflessioni che se ne possono trarre sono molteplici, ma mi limiterò a quelle che seguono.
Vicinanza o distanza? Sono le due polarità antitetiche introdotte nel racconto dei porcospini. Ma se ne possono nominare anche altre collegate alle prime; eccone alcune: dipendenza o autonomia? Uguaglianza o diversità?
Da che parte andare? Dove protendere? La vicenda dei porcospini sembra ci dica che nessuna delle due strade è quella giusta, che non andrà bene comunque. A meno che non si riesca a trovare una “moderata distanza reciproca”. Sì ma, soprattutto nell’esperienza umana, che vuol dire e come si attua?
L’equilibrio sta – in generale, e tanto più per quel che riguarda le questioni psicologiche – nella coesistenza, nella tensione dialettica tra dimensioni apparentemente opposte. Il che si traduce, ad esempio, nella capacità psicologica di sostenere – e poi anche di elaborare e di risolvere – il conflitto interiore. Laddove è possibile sentire contemporaneamente cose diverse, perfino contrastanti, nei confronti di qualcosa o di qualcuno. Così una madre può amare moltissimo suo figlio e, nello stesso tempo, sentirsi sfinita dal suo accudimento e non poterne più. Questa capacità, che un importante psicoanalista relazionale americano contemporaneo ha definito “stare negli spazi”, è fondamentale per la salute psicologica ed è, in linea generale, una delle conquiste di una psicoterapia ben riuscita.
Escludere una dimensione lasciando sopravvivere l’altra equivale invece a dissociare, ovvero a mettere da parte una sfumatura dell’esperienza necessaria per averne un vissuto pieno, ricco, complesso. Le conseguenze della difesa psicologica rappresentata dalla dissociazione possono essere perfino pericolose.
E, in effetti, riprendendo i temi proposti dal dilemma dei porcospini, la vicinanza, senza distanza, diventa fusionalità simbiotica, annientamento delle differenze: non è intimità.
Viceversa, la distanza, senza vicinanza, fa presto a tramutarsi in separazione netta, isolamento, impossibilità di entrare in contatto e di comunicare.
Molte persone finiscono per sacrificare un aspetto coltivando l’altro. Ricercano disperatamente la vicinanza dell’altro, di cui si sentono in balìa, rinunciando alla propria individualità e sconfinando nella dipendenza affettiva; oppure, al contrario, evitano qualunque coinvolgimento emotivo che rischi di farle sentire sopraffatte dall’altro, mettendo in atto un eccesso di autonomia che pagano al prezzo di una solitudine immensa.
Ma, a ben guardare, sono le due facce della stessa medaglia. Dipendenza e autonomia sono due ingredienti inscindibili, entrambi indispensabili all’interno di una relazione sana, che si sostengono – e non si escludono – a vicenda.
Quando invece le due opposte “strategie relazionali” si incontrano, il risultato è il crearsi di una complementarietà distruttiva per entrambi i membri della relazione. In essa ognuno di loro incarna un solo estremo e vede nell’altro il suo opposto, senza che sia mai possibile riconoscere reciprocamente la somiglianza e condividere una condizione comune.
L’intimità
L‘intimità, che si desidera e che ci si augura di trovare in qualsiasi relazione significativa, è dunque un processo continuo di aggiustamento reciproco, di negoziazione degli spazi e di riparazione delle rotture, che inevitabilmente l’attraversano.
Non è per niente scontato né facile conquistarla. Per alcuni individui è probabile che le esperienze del passato siano state tali per cui oggi ci si trova automaticamente ad optare per una delle due soluzioni alternative in maniera totalizzante ed esclusiva. Questo è per loro semplicemente ciò che si riesce a fare, il modo in cui è normale vivere, ciò che è più familiare. Fino a restarne prigionieri. Trovare una modalità più sana e soddisfacente sembra essere impossibile, per quanto auspicato. È frequente infatti sentire i pazienti dire: “vorrei, ma non ci riesco”.
Problemi relazionali e psicoterapia
I problemi legati alla “giusta distanza”, che possono assumere diverse forme ed essere vissuti soggettivamente in diversi modi – oltre che sconfinare, come abbiamo visto, in altre polarità – sono centrali nelle difficoltà relazionali che spesso spingono a rivolgersi ad uno psicoterapeuta per intraprendere una psicoterapia.
Qui la possibilità di riflettere su certe dinamiche in cui si è coinvolti, il mettere a fuoco il proprio ruolo, nonché la possibilità di sperimentare un modo nuovo di stare nelle relazioni, all’interno di un contesto emotivamente sicuro e garantito dallo psicoterapeuta, permettono di “correggere” certi automatismi disfunzionali e di ottenere un maggiore grado di libertà relazionale.
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