Se siete alla ricerca di una buona ragione per andare dallo psicologo, se vi state domandando che cosa di buono una simile esperienza vi potrà portare, oltre al sollievo da un dato disagio psicologico, una possibile risposta è senz’altro quella di imparare a “maneggiare” l’incertezza.
È la lezione che si può trarre dalla poesia di Wislawa Szymborska che ho scelto di riportare: l’incertezza va elogiata, contrariamente a quanto si tende a credere o a fare. “Tollerare l’incertezza” per Bromberg, coltivare la “capacità negativa” per Bion sono tutti modi con cui diversi psicoanalisti hanno tentato di descrivere l’atteggiamento che un buon psicoterapeuta dovrebbe avere e che il paziente dovrebbe a sua volta avere la possibilità di imparare.
Come ha recentemente fatto notare uno psicoanalista relazionale italiano durante un convegno per psicologi a cui ho partecipato, in un mondo, quale è il nostro, quello contemporaneo, pieno di “specialisti” e “tecnici” di ogni genere e di ogni settore, la vera rivoluzione è dire: non lo so.
Ma che significa avere un atteggiamento aperto all’incertezza?
Non vuol dire certo rassegnarsi di fronte alle avversità né porsi come spettatore passivo della propria vita, che magari non sta andando come si vorrebbe. D’altra parte, è proprio la volontà di esercitare un controllo sugli eventi o sulle altre persone – che invece hanno una mente indipendente – ad essere alla base di molte forme di psicopatologia. Anzi, potremmo perfino definire questa volontà di controllo come il filo rosso che collega tutte le psicopatologie. Ne è un esempio l’ansia, in tutte le sue declinazioni (si pensi, soprattutto, al disturbo ossessivo-compulsivo). Un altro esempio è sicuramente rappresentato dalla depressione, laddove il caratteristico sintomo della disperazione è causato proprio dal senso di impotenza per la convinzione di non poter intervenire in alcun modo sull’ambiente circostante e sulla propria esistenza.
Per rispondere alla domanda sul significato di un atteggiamento di apertura all’incertezza, provando a coglierne il senso più profondo, essere disposti a tollerarla vuol dire venire a patti con il fatto che non si può, in maniera perfettamente prevedibile, far andare le cose come ci si immagina, pur non smettendo di riconoscere che può essere importante il proprio contributo attivo nell’imprimere una certa direzione agli eventi. Significa porsi con fiducia verso il futuro, pur ammettendo di non sapere – di non poter sapere – che piega esso prenderà. In questo senso, è anche una lezione sulla fiducia. E sulla speranza, per la fiducia che questa presuppone.
Alla luce di tali considerazioni, si capisce bene quale importanza abbia, come conquista psicologica di una psicoanalisi ben riuscita, il poter sperimentare simili sentimenti – fiducia e speranza – dalle tonalità così positive e vitali.
Consiglio a chiunque la lettura della poesia che segue, sia per le riflessioni appena esposte che per tutte quelle che potrebbero scaturirne. La consiglio soprattutto a chi fa di mestiere lo psicologo, perchè non si debba mai smettere di interrogarsi e di imparare: è un dovere verso i propri pazienti. La consiglio, per motivi simili, a chi va da uno psicologo o a chi ha in mente di andarci.
Che siate psicologi oppure no, prendetela dunque come “appunto” la raccomandazione racchiusa nell’ultimo verso di questa meravigliosa poesia della Szymborska:
“Un appunto”
La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;
distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.
(Da “Attimo“)
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