Esiste una certa opinione a proposito della psicoanalisi, secondo cui essa sarebbe lontana dalle reali condizioni di vita delle persone e troppo incline ad inseguire ideali teorici che poco hanno a che fare con le più immediate esigenze della gente. Ma non è così, o per lo meno non dovrebbe essere così.
È più che legittimo che le persone che si rivolgono ad esperti della salute psichica vogliano ottenere il sollievo dal loro disagio emotivo nel minor tempo possibile. Dovere di uno psicoterapeuta bravo (adopero qui i termini “psicoterapeuta” e “psicoanalista” come sinonimi, senza addentrarmi in una discussione sulle differenze, pur riferendomi principalmente alla figura dello psicoanalista) è pertanto quello di impegnarsi in una cura in grado di aiutare il paziente a vivere più pienamente la propria vita, ponendo il miglioramento sintomatologico come scopo principale del trattamento.
Psicoanalisi “all’opera” o “operativa” è un modo con cui intendo dire che bisogna tenere sullo sfondo le teorie che ispirano la pratica del terapeuta, cercando nel contempo un particolare modo di lavorare con quel particolare paziente che consenta di raggiungere gli obiettivi terapeutici desiderati.
La psicoanalisi così impostata è finalizzata ad aiutare il paziente ad essere meno sofferente e più soddisfatto della sua quotidianità, grazie anche ad una maggiore comprensione del suo funzionamento mentale. La persona che ne usufruisce diviene capace di vedere i modi in cui costruisce la realtà e identifica idee, emozioni e ricordi, di cui prima non era pienamente consapevole, e si sente meglio. Raggiunge nuove prospettive grazie ad un’intima esplorazione congiunta con il terapeuta, basata sull’impegno reciproco ad indagare le sue difficoltà. La qualità della vita migliora e questo cambiamento è percepibile da amici e parenti.
Come accedere ad una psicoanalisi siffatta: 7 aspetti da considerare
Ci sono molte persone che vorrebbero sapere come riconoscere una cura psicoanalitica così condotta. A queste persone si può, in linea generale, rispondere riportando alcuni punti, la maggior parte dei quali già individuati dallo psicoanalista Owen Renik.
1- Per cominciare, lo psicoanalista dovrebbe porre domande utili che aiutino a chiarire la natura dei problemi del paziente, al fine di sostituire nuove modalità di funzionamento alle vecchie.
2- Le sue opinioni non vanno offerte come delle verità oggettive, bensì come punti di vista inevitabilmente soggettivi che arricchiscono il dialogo.
3- È importante monitorare i benefici terapeutici come criterio di convalida del lavoro analitico e, se le cose non migliorano, essere pronti a rivedere e a cambiare rotta.
4- Quando lo psicoanalista non è autentico, il paziente non può fare a meno di registrare l’inautenticità nel suo comportamento e questo va contro l’etica della sincerità, necessaria perché il lavoro terapeutico risulti fruttuoso.
5- Quando funziona bene, la relazione terapeutica è reciproca, nel senso che non è solo lo psicoanalista a richiamare l’attenzione del paziente su aspetti di sé che intervengono nella terapia, ma anche il contrario, e ciò deve poter diventare argomento di discussione esplicita.
6- Si deve infine prendere sul serio la realtà della vita quotidiana del paziente, poiché egli è immerso in questa vita reale – da cui la realtà psichica non è per nulla sganciata – ed i miglioramenti vanno ricercati in essa.
7- Per finire, il paziente dovrebbe poter sentire che nei colloqui che hanno luogo con lo psicoanalista vengono trattati i temi per lui più significativi e in modi che siano per lui significativi.