In scena, il mondo interiore di una ragazzina undicenne di nome Riley. Gli eventi che si susseguono in Inside Out avvengono tutti nella testa di Riley, o meglio, gli eventi che avvengono nella vita di Riley sono visti e acquistano significato attraverso la sua mente, a cui lo spettatore ha un accesso privilegiato.
Le vicende si articolano a partire da un trasferimento obbligato, dovuto al lavoro del padre, evento questo che potremmo definire come “evento critico”, capace di scatenare un vero e proprio subbuglio di emozioni nella ragazzina. Le emozioni infatti sono i personaggi sempre in primo piano. Sono le emozioni principali quelle che il regista sceglie di rappresentare, che colorano di tinte diverse ciò che accade. C’è Gioia, caparbiamente pronta a riportare il buonumore; c’è Tristezza, inguaribile pessimista; c’è Paura, in uno stato di perenne allerta, facile a spaventarsi (e a spaventare); c’è Rabbia, che esplode impetuoso; infine c’è Disgusto, dedita, con la puzza sotto il naso, ad allontanare sgradevolezze.
Sullo sfondo ci sono le esperienze passate, che hanno contribuito a fare di Riley ciò che lei è. Queste esistono sotto forma di ricordi – prevalentemente positivi, colorati di un “giallo gioia” – e di isole della personalità – ovvero organizzazioni del suo modo di essere con gli altri in vari ambiti dell’esperienza, attorno a cui si è costruita fino a quel momento la sua personalità -.
Inizialmente prevale una componente di entusiasmo in Riley, motivata dalla curiosità per la novità, che forgia aspettative ottimistiche su ciò che troverà nella città che l’attende, a partire dalla nuova casa. Ma basta poco – relativamente poco -, come l’aspetto esteriore dell’edificio o il ritardo nella consegna dei mobili per arredare la sua stanza vuota, perché a prendere il sopravvento sulla Riley gioiosa vi siano soprattutto le emozioni “negative”: tristezza, paura, disgusto e rabbia.
A poco a poco queste emozioni negative tingono tutto quello che succede intorno e minano tutti i campi dell’esperienza. La famiglia diventa luogo di silenzi e di incomprensioni. La capacità di ridere e scherzare “stupidamente” è atterrita. L’hockey sul ghiaccio non è più lo sport in cui riesce bene divertendosi, dal momento che non ha più con sé la sua squadra. L’amicizia si trasforma nel luogo della delusione e del tradimento.
La tristezza, armata di delusione e di nostalgia, è avvertita come il principale pericolo da eliminare, perché – come dirà alla fine ai genitori, quando si permetterà di portarla alla luce – sa che non è quello che loro, i genitori, si aspettano da lei. Così si assiste ad una sorta di conflitto tra Gioia, decisa a difendere e a salvare almeno i ricordi più belli, e Tristezza (a dire il vero troppo fiacca per combattere) che li contamina tutti se solo osa toccarli. Ma – si scoprirà alla fine – è proprio questa rigida dicotomia a costituire l’insostenibile dilemma.
Ad assumere momentaneamente il comando della vita psichica di Riley restano Disgusto, Rabbia e Paura. Sono loro a dirigere, nella mente e fuori, gli scambi con gli altri, che si infittiscono di incomprensioni e di ferite reciproche. Sono loro a guidare l’estrema decisione di ingannare i genitori e di allontanarsi mettendo in atto una fuga.
L’epilogo sfiorato è, oltre al crollo delle isole di personalità erette nel corso dello sviluppo fino ad allora, anche l’incapacità di provare alcunché, lo spegnimento emotivo, rappresentato dal grigiore incalzante.
Per fortuna però le prime esperienze di vita di Riley non sono state così sfortunate, al contrario, se, nonostante il momento difficile, ad un certo punto può fare marcia indietro e permettere alla tristezza di riaffiorare avendo fiducia nelle persone che le vogliono bene. Ridley torna a casa, ed è qui che la tristezza può finalmente essere condivisa. E se può essere condivisa, può essere anche curata. Allora tutto può diventare meno rigido, più fluido, attingendo alla tavolozza completa dei colori emotivi. Anche i ricordi, si vede, non risplendono più di una sola tonalità, ma sono variopinti, comprendono ogni sfumatura. E Riley cambia, e cresce: la sua personalità si arricchisce di nuove possibilità e le nuove esperienze, che finalmente si concede di fare, possono a loro volta cambiarla e farla crescere.
La conclusione, a cui si può giungere e che forse può interessare soprattutto i genitori che hanno figli che si avviano all’adolescenza o che sono già adolescenti, è che la comunicazione a volte può interrompersi. Quando ciò accade, occorre chiedersi che cosa non si stia giustamente tenendo in considerazione del proprio figlio, oltre che di se stessi.
Nel caso di Riley si trattava delle difficoltà, normali, legate ad un cambiamento per lei traumatico, che quindi venivano tenute lontane, perché scomode da trattare, in nome di un atteggiamento ottimista che però non teneva in considerazione il suo vissuto. Era evidentemente anche la propria sofferenza – che quasi inevitabilmente un cambiamento totale come un trasferimento porta con sé -, insieme a quella della figlia, che i genitori cercavano di tenere a bada, di non far emergere. In una situazione del genere il dolore dei figli può essere addirittura più difficile da sostenere perché risveglia quello che i genitori stessi stanno cercando di mettere a tacere. Eppure l’unica via per uscirne intatti, salvando al contempo i legami, sembra essere proprio il riconoscimento e la legittimazione di ciò che invece si è tentati di allontanare.
È il coraggio delle condivisione, come Riley ci insegna, a risanare tutte le ferite.