Incoerenza e salute mentale
Se siete tra coloro che hanno l’ansia si risultare coerenti, sappiate che forse vi sbagliate.
Siamo abituati a giudicare l’incoerenza come qualcosa di deplorevole, un segnale di debolezza, insomma a pensarla in maniera negativa. Questa tendenza si basa, a ben guardare, su una concezione impoverente dell’essere umano, come unitario, che vive ispirandosi ad unica linea di pensiero.
Un’ espressione con cui comunemente una condotta “coerente” viene incoraggiata è “essere se stessi”. Ma cosa vuol dire essere se stessi? E chi l’ha detto che dobbiamo pensare o porci sempre nello stesso modo, indipendentemente dal contesto in cui ci troviamo o dalle persone con cui interagiamo?
Partiamo dal presupposto filosofico del costruttivismo prospettico, per cui non esiste una verità assoluta ma soltanto punti di vista soggettivi sulla realtà esterna. Pertanto, per avere una visione che sia il più possibile ricca e completa di quanto ci circonda, è necessario ampliare il proprio punto di vista, inevitabilmente soggettivo, mediante la prospettiva degli altri. La capacità di cambiare idea, per esempio dopo un confronto dialettico, o di lasciarsi influenzare dall’altro è allora indice della capacità di farsi toccare dall’esperienza e di cambiare, in sostanza è indice di salute mentale.
In tal senso l’incoerenza può addirittura essere vista come un punto a favore, come una risorsa importante. Questo a patto che si tratti di una incoerenza in qualche modo riflessiva o consapevole.
Molteplicità del Sè
Immaginiamoci ora come un insieme di tante parti a volte anche in conflitto tra loro. Tali parti o aspetti di noi derivano dai modi in cui ci è stato permesso di sentirci, da tutte le esperienze che abbiamo avuto la possibilità di fare (e che abbiamo la possibilità di fare) a contatto con le persone importanti. Sono cioè tutti i modi che abbiamo sperimentato e che conosciamo di essere con gli altri. In quest’ottica non stupisce che alcune volte prevalga una parte e altre volte ne prevalga un’altra.
Esiti psicopatologici
In genere, se non vi è una grossa lacerazione interna, queste diverse parti sono in continuo dialogo tra loro e si alternano sulla scena mentale o nelle relazioni con le persone in maniera piuttosto flessibile e adeguata alle circostanze. Il problema, che potremmo chiamare “incoerenza patologica” o “coerenza forzata”, sopraggiunge quando questi aspetti interni che fanno tutti parte di noi e che contribuiscono a renderci multisfaccettati sono tenuti tra loro segregati come isole separate impossibilitate a comunicare. In una situazione del genere, clinicamente definita “dissociazione difensiva” e causata da vissuti traumatici, l’individuo è letteralmente incapace di conoscere e di far conoscere la propria complessità interiore e perfino di sostenere un conflitto intrapsichico.
L’effetto che ne deriva è di essere, rigidamente, a volte in un modo e altre volte in un altro. Quando si è in un modo (con una certa emotività prevalente, con precisi processi di pensiero, determinati modi di percepire e caratteristiche modalità di rapportarsi al mondo circostante), non si concepisce di poter essere in un altro o, addirittura, non ci si ricorda di essere stati in un altro modo in un diverso momento – nonostante, a volte, gli altri insistano, in qualità di testimoni, nel sostenere questa versione. È come se le diverse persone che possiamo essere si rinnegassero a vicenda, si escludessero reciprocamente. Si finisce così per sentirsi molto – troppo – coerenti e per essere visti dall’esterno come decisamente incoerenti.
A livelli estremi e altamente problematici si colloca il disturbo multiplo di personalità, ora rinominato disturbo dissociativo dell’identità, su cui si è tanto romanzato e che ha fatto il successo di molte pellicole cinematografiche.
Vivere, nostro malgrado, all’insegna di questo tipo di “coerenza” può, alla lunga, essere molto limitante e determinare non pochi problemi di carattere sociale. È come essere imprigionati in ruoli stereotipati che tagliano fuori improvvisazioni – che quasi sempre le relazioni invece richiedono – e possibilità di fare esperienze nuove, impedendo di vivere creativamente e con gratificazione.
Spesso chi si trova in questa condizione avverte solo un vago senso di insoddisfazione a cui non riesce a trovare un perché. È questo non meglio definito senso di malessere che può spingere a rivolgersi ad uno psicologo o ad intraprendere una psicoterapia, che, nel migliore dei casi, potrà aiutare a liberare tutte le parti silenti che non si sapeva nemmeno di avere, anzi di essere.
In conclusione, si può dire che spesso la psicoterapia spinga a trovare il coraggio di essere, anche, incoerenti.