Quella che segue è la traduzione di un articolo pubblicato sul blog della psicoanalista relazionale americana Velleda Ceccoli, il cui titolo originario è: “Sul riconoscimento – e la sensazione di essere conosciuti”.
Può darsi che la lettura non risulti delle più semplici per i non addetti ai lavori, ma è indubbiamente consigliabile.
Coerentemente con il titolo che ho scelto di dare, io lo introduco aggiungendo soltanto: quale più grande messaggio d’amore del continuare ad essere amati pur provando tanta rabbia per qualcuno – e del continuare ad amare pur essendo oggetto degli attacchi rabbiosi di qualcuno?
“Cosa significa essere conosciuti da un altro? Essere riconosciuti per chi si è, difetti compresi? Il buono con il cattivo di sé e tutto il resto? Penso che stiamo parlando della precondizione per l’amore, e di cosa significhi amare un’altra persona, del modo in cui negoziamo il significato con un altro, possibilmente creando una connessione che può essere profondamente stabilizzante per il nostro senso di sé.
Il riconoscimento è una di quelle idee che catturano qualcosa di semplice su ciò di cui tutti noi abbiamo bisogno, ma molto più difficile da trovare e sperimentare. Mi riferisco a un sentimento universalmente ricercato da tutti, alla sensazione che un altro ti abbia visto, ti abbia davvero visto, e abbia compreso le parti più basilari di chi sei. Quella persona ti “afferra” e ti rimane una sensazione di essere conosciuto, una sensazione così potente che si traduce nel senso di essere in pace con il mondo, e inoltre, che tutto andrà bene. Sì, questo è ciò di cui si tratta, noi tutti lo stiamo cercando il riconoscimento, a volte senza sapere che lo stiamo facendo. Può anche essere la definizione e/o la pre-condizione del vero amore.
In psicoanalisi la nozione di riconoscimento venne introdotta durante il movimento femminista degli anni ’60 e fu un termine coniato ed elaborato dalla psicoanalista Jessica Benjamin. Il riconoscimento implica un particolare tipo di identificazione con l’altro; dico un tipo particolare perché si tratta di un’identificazione basata sulla capacità di identificarsi con un altro pur mantenendo la propria individualità e soggettività e consentendo all’altro la sua. E questa non è una cosa facile da fare quando si è in una relazione di qualsiasi tipo. La maggior parte di noi si relaziona con gli altri in base alle proprie esigenze e ai propri desideri particolari: gli altri ci attraggono perché la pensiamo allo stesso modo sulle stesse cose, concordiamo su questioni importanti, “osserviamo il modo in cui ci piace guardare altri narcisisticamente” e questo diventa la base per il nostro rapporto con loro. Ma con il riconoscimento succede qualcosa di molto diverso, qualcosa che molti non sono in grado di raggiungere o sostenere perché implica l’uso della propria aggressività per distruggere proprio ciò che si vuole. Questa è un’idea che il grande psicoanalista e pediatra britannico Donald Winnicott ha articolato come un processo necessario nel nostro sviluppo psicologico. Ha parlato della nostra capacità di distruggere l’altro nella fantasia, spietatamente e sulla base dei nostri bisogni, desideri e aggressività, come una necessaria abilità di sviluppo che ci ha portato alla capacità di formare relazioni intime nella vita matura. Se l’altro sopravvive effettivamente alla nostra distruzione – il che significa che continua ad essere ciò che è sempre stato con noi – ci porta a capire e riconoscere che l’altro non è soggetto al nostro controllo (mentale) ma, piuttosto, una persona separata. Benjamin riprende questa idea e la articola ulteriormente: la nostra distruzione dell’altro stabilisce la sua soggettività e aiuta a manifestare la nostra. In questo modo la distruzione porta ad una connessione più profonda perché l’altro ora viene conosciuto come soggetto con i propri desideri e con la propria autonomia, piuttosto che essere il nostro oggetto. Quindi il riconoscimento dell’altro ci avvicina a conoscerlo per quello che è veramente, permettendoci di essere ciò che siamo sulla via dell’intimità.
Benjamin – che ha studiato filosofia prima della formazione come psicoanalista – offre una soluzione al paradosso di Hegel riformulando la relazione tra distruzione e sopravvivenza, in cui la distruzione è una parte necessaria per diventare un essere autonomo e porta ad essere visti e riconosciuti come tali. Nella lotta per il riconoscimento, tutti noi dobbiamo correre il rischio di annientare l’altro, di essere soli con la nostra distruttività e di negare che l’altro sia un soggetto con tutte le nostre forze, così da poter sperimentare la realtà della soggettività degli altri e la loro differenza, così come la nostra. Non c’è speranza di riconoscimento senza tale distruzione e sopravvivenza. Questa tensione diadica tra distruzione e sopravvivenza è al centro dell’essere conosciuti da un altro e, direi, è il cuore dell’amore “vero”.
C’è qualcosa nella sensazione di essere conosciuto che cambia tutto in modo esperienziale. Questo perché il riconoscimento ha un effetto regolatore: il fatto che ci sentiamo compresi e visti da un altro ci aiuta a sentirci sicuri, sicuri ed emotivamente equilibrati. Tutto va bene con noi e tutto va bene col mondo. Il riconoscimento va al di là del linguaggio verbale e delle azioni e inizia con le esperienze precoci (si pensi alla relazione tra madre e bambino) non verbali, in cui qualcosa è condiviso con un’altra persona – una certa comprensione di un sentimento, un senso, un movimento. Tale conoscenza implicita che la mente di un altro è in sincronia con la nostra, pur restando altra, costituisce la vera magia della connessione su cui si basa l’intersoggettività. È anche il motivo per cui continuiamo a cercarlo nelle nostre vite, e immediatamente rispondiamo e ci connettiamo quando lo sperimentiamo con un altro.
È questa la base per il vero amore?
Nella misura in cui il riconoscimento implica la nostra capacità di affrontare la nostra aggressività e distruttività in un modo che consente all’altro, al di fuori e diverso da sé, “di venire in essere come soggetto invece di un altro preconcepito”, forse è la base per il vero amore, in quanto richiede di negoziare continuamente le differenze e il significato in ciò che Benjamin chiama uno spazio “terzo”, che implica necessariamente il riconoscimento reciproco. Dove manca questa capacità, crolla lo spazio per la negoziazione dell’alterità, insieme alla capacità di vedere l’altro per chi è lui, distruggendo la possibilità di un contatto intimo. Quindi, molte relazioni sono basate sull’idea dell’altro e dell’amore, piuttosto che sul fondamento che può venire dal reciproco riconoscimento della differenza e dell’alterità.
Tutti noi abbiamo bisogno di essere riconosciuti e di avere la capacità di riconoscere gli altri, per quanto possa essere “disomogeneo”. Tali incoerenze nella nostra capacità di riconoscere gli altri e l’esplorazione di ciò che ci impedisce di poterlo fare si può dire che rappresentano una delle aree prese in considerazione dalla psicoterapia psicoanalitica”.
Per la lettura del testo in lingua originale: https://www.drceccoli.com/2015/07/on-recognition-and-the-feeling-of-being-known/
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