“Il” trauma psicologico: l’abuso sessuale
L’abuso sessuale è un trauma massiccio (per la differenza tra i diversi tipi di trauma si rimanda all’articolo “C’è trauma e trauma. Il trauma con la “T” maiuscola e i micro traumi cumulativi”). Vuol dire che la sua intensità è tale che è sufficiente un solo episodio di abuso sessuale perché possa configurarsi come trauma psicologico, andando ad incidere in maniera significativa sulla vita mentale di chi ne è stato vittima. È probabilmente la forma di abuso più potente e devastante, dal momento che viola la sfera più intima della persona che lo subisce.
Nell’articolo “Traumi infantili e conseguenze in età adulta: esiste una cura?” ho inoltre evidenziato come non sia necessario che abbia luogo un atto sessuale perpetrato fisicamente affinché si possa parlare di abuso sessuale, potendo essere invece sufficienti anche solo pratiche allusive. A titolo esemplificativo, la sensazione di tensione erotica che una donna, paziente che ha intrapreso un percorso di psicoanalisi, vedeva crearsi con il padre quando era una bambina – senza che tra i due avvenisse mai nulla che andasse al di là di quella vaga percezione – è bastata a far sì che quel rapporto fosse per lei psicologicamente difficile da gestire e a creare successivamente gravi inibizioni nell’area della sessualità. Questa consapevolezza è stata raggiunta proprio grazie alla psicoanalisi.
Senso di colpa, vergogna e depressione
Un tratto tipico di chi ha subito un trauma di origine sessuale è la persistenza di sentimenti di colpa e di vergogna.
Come mai si è inclini ad addossarsi la responsabilità di azioni e comportamenti di cui invece si è stati fatti oggetto?
La risposta è da ricercarsi nel bisogno che perennemente si ha di dare un senso agli eventi che ci succedono. Il ritenere di avere avuto una parte nell’elicitare nell’altro una reazione talmente aberrante permette, seppure a caro prezzo, di portare a termine questo processo: di spiegarsi il perché. A ciò può affiancarsi la necessità di “salvare” l’abusante, quando costui è ad esempio una persona cara.
Nell’ambito dell’elaborazione del trauma, questa fase è per l’appunto transitoria, per quanto molto dolorosa. Colpa e vergogna sono tra l’altro ampiamente riconosciuti quali sintomi di depressione; la vergogna, in particolare, è correlata al suicidio. Non è inusuale infatti che vittime di abusi sessuali mettano in atto tentativi di suicidio che talvolta si concludono tragicamente.
Elaborazione del trauma
Nel corso di una elaborazione ottimale del trauma psicologico rappresentato dall’abuso sessuale, di solito si verifica il passaggio dall’autoattribuzione di colpa all’identificazione emotiva del responsabile nell’abusante, nei confronti del quale si può finalmente provare rabbia. La rabbia è dunque un’emozione fondamentale per superare i residui traumatici di quanto accaduto.
Tuttavia non sempre si è dotati delle risorse sociali e psicologiche necessarie per portare a termine una così complessa elaborazione psicologica del trauma. Ciò dipende in larga misura dal contesto sociale in cui si è inseriti, dalla qualità delle relazioni umane di cui si è circondati nonché dalla propria storia di vita passata.
La psicoterapia si rivela molto efficace nel favorire il corretto svolgimento di questo processo di elaborazione e nello scoraggiare – o nel superare qualora si sia già manifestato – un disturbo post-traumatico da stress.
Quando l’abuso sessuale è un trauma prolungato
Ho precedentemente affermato che un singolo episodio di abuso sessuale è un evento traumatico da un punto di vista psicologico. Spesso però colui che abusa non è un estraneo, ma qualcuno che si conosce, per cui altrettanto spesso l’abuso avviene all’interno delle mura domestiche in età precoce.
Se le cose stanno così, è plausibile che l’abuso sessuale in certe circostanze sia una pratica consueta e che inizi molto presto. In questi casi, quando si presenta come la “normalità” all’interno di una relazione significativa (con un genitore, un parente o un amico di famiglia), quest’ultima viene interiorizzata come tale. A meno che non intervenga tempestivamente un processo riparatorio, la vittima continuerà pertanto a vivere dentro quello schema ripetendolo anche in futuro, perfino a ruoli invertiti. È questa la ragione per cui di frequente le vittime si trasformano a loro volta in carnefici, avendo avuto luogo un processo di identificazione con l’aggressore. Con un simile modello relazionale si può essere soltanto vittime o carnefici.
La psicoterapia è fortemente consigliata anche in questi casi, per poter spezzare una simile catena costrittiva. Essa offre l’opportunità di parlarne, riflettervi sopra, vedere i fatti della propria vita da prospettive mai considerate prima e, non ultima, offre la possibilità di fare esperienze relazionali nuove in grado di sostituirsi a quelle vecchie così disfunzionali e dolorose.
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