Tutte le fobie hanno una caratteristica in comune: quella di essere irrazionali. A determinarle non c’è un pericolo reale; la situazione che suscita paura (o addirittura attacchi di panico) non è di per sé oggettivamente pericolosa, eppure se ne può essere atterriti.
Se questo vale per tutte le fobie – ed anzi la definizione stessa di fobia si basa sull’irrazionalità -, risulta particolarmente vero per la cherofobia.
Cherofobia, dal greco, vuol dire paura di essere felici. Rientra nell’ambito dei disturbi d’ansia, dal momento che l’idea della felicità innesca una vera e propria risposta ansiosa di allarme, con conseguente evitamento di tutte le situazioni che potrebbero suscitarla.
Ad essere evitate sono dunque circostanze piacevoli in grado di infondere felicità, quali feste o occasioni di divertimento.
Ma perché si dovrebbe avere paura di essere felici? Non è forse la felicità la cosa a cui si aspira di più nel corso della vita? Non è forse il desiderio più grande di ogni essere umano?
La questione sembra essere un controsenso. Eppure è proprio così: ci sono persone a cui la possibilità della felicità fa molta paura.
Manifestazioni della cherofobia
Le persone che sono alle prese con la paura di essere felici sembrano riconoscersi molto in uno stato assenza di felicità, che non vuol dire necessariamente dover fare i conti con affanni, dolori o qualche genere di afflizione. Che si versi o meno in uno stato evidente di tristezza o di rassegnazione, queste persone si sentono a proprio agio soprattutto in una condizione, più che di infelicità, di non felicità.
E, in effetti, sembra che non conoscano delle alternative nel modo di stare al mondo. Che abbiano cioè costruito il proprio senso di identità personale – molto probabilmente a causa delle esperienze passate – intorno al non poter (o al non dover) essere felici, per cui, senza questa condizione, perdono il baricentro, non sanno più chi sono.
A questo primo elemento si accompagna inoltre una certa tendenza a valutare negativamente le persone che, al contrario, mostrano felicità, vedendole generalmente come se fossero frivole o meno profonde o meno sensibili o meno intelligenti delle persone infelici. In tal senso, vi è una sorta di equazione ‘assenza di felicità = maggiore valore personale’ che spinge a mantenere inalterato lo stato delle cose.
Le persone cherofobiche si sentono a disagio di fronte ai successi o alle situazioni che lasciano intravedere un futuro felice. La sensazione che li assale è quella del sospetto, di non potersi fidare e di non poter abbassare la guardia (la delusione potrebbe infatti essere dietro l’angolo). Così non possono mai godersi niente fino in fondo.
Quando le cose stanno andando bene e si affaccia dentro di sé un qualche sentimento positivo (uno sprazzo di gioia, orgoglio, speranza, ottimismo), le persone che hanno paura di essere felici si attivano automaticamente per metterlo a tacere. Viene in tal modo ripristinata una condizione più familiare, che infonde maggiore sicurezza, per quanto più penosa, attraverso l’introduzione di pensieri e stati d’animo negativi, con cui si mette in atto un vero e proprio autosabotaggio inconsapevole.
Origini della cherofobia: da dove nasce la paura di essere felici
Le origini della cherofobia possono rintracciarsi nelle esperienze passate, non soltanto negli eventi effettivamente accaduti, ma anche nel clima emotivo più generale che si è respirato nel proprio ambiente di vita, in primo luogo la famiglia.
Sono esempio di quest’ultimo punto esperienze ripetute di variazioni nell’assetto emotivo familiare, secondo uno schema per cui ad un momento di entusiasmo, vitalità, gioia o divertimento faceva seguito un improvviso spegnimento dell’emozione positiva o un attacco rabbioso che provocava il sovvertimento dello stato emotivo precedente.
La ripetizione di questo tipo di schema, anche a livello microscopico o poco evidente, porta all’apprendimento automatico della sequenza, per cui la persona impara ad aspettarsi, con certezza, che la felicità non può durare e che anzi è il preludio a qualcosa di negativo e spiacevole: che della felicità è meglio diffidare perché qualcosa di brutto è sempre in agguato.
Questo apprendimento tuttavia non è puramente intellettivo ma profondamente emotivo, andando cioè ad inscriversi nella memoria emotiva, la quale si riattiva inconsciamente anche in futuro, tutte le volte che ci si trova in situazioni somiglianti a quelle passate. Il che spiega come mai, quando in futuro si sperimentano sentimenti di felicità, li si debba immediatamente cancellare.
A un livello più macroscopico, nella vita di chi ha sviluppato la cherofobia, può essere accaduto che un periodo particolarmente felice sia stato traumaticamente stroncato da un avvenimento tragico che, di nuovo, ha avuto il potere di creare l’associazione felicità-dolore.
Cherofobia: come si cura?
Molte volte il lavoro che si deve fare in psicoterapia con i pazienti è quello di portarli a tollerare le emozioni negative, soprattutto quelle dolorose, che invece si tende a tenere lontane in quanto insopportabili ma che trovano comunque il modo di venire fuori, per esempio attraverso i sintomi.
Nel lavoro di psicoterapia con i pazienti che hanno la cherofobia, quello che si deve fare è proprio il contrario: aiutarli a stare a contatto, condividendole con loro il più possibile, le emozioni positive, quelle di gioia, vitalità, divertimento, speranza fiduciosa, cercando contemporaneamente di tenere a bada la minaccia che incombe che tutto si frantumerà inesorabilmente e ristabilendo la possibilità di una felicità duratura.
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