Come esseri umani, abbiamo una serie di bisogni innati. Essi, insieme ad emozioni e comportamenti, secondo lo psicoanalista Lichtenberg, sono organizzati nell’ambito di “sistemi motivazionali”, i quali sono alla base del nostro agire.
Partirò da qui per parlare della rabbia, delle sue sfumature, della sua impossibilità e delle sue differenze rispetto a manifestazioni apparentemente simili ma dal significato profondamente diverso.
L’assertività è diversa dalla rabbia
Uno di questi sistemi motivazionali è il sistema esplorativo-assertivo.
La capacità di produrre un effetto sul mondo circostante mediante un’azione intenzionale ha come risultato il piacere dell’efficacia e della competenza. In questo senso, essere assertivi ha come scopo quello di esercitare un’influenza sull’esterno, rimuovendo eventuali ostacoli se necessario, in modo da risperimentare le suddette emozioni positive.
Così ad esempio un bambino che non ha ancora imparato a camminare si allungherà per afferrare il sonaglio posto davanti a lui, piangerà se non ci riesce perché troppo lontano e ci proverà ancora; una volta che sarà riuscito a prendere l’oggetto desiderato, il suo volto si distenderà visibilmente in un’espressione gratificata. Un adulto invece potrebbe battersi per far valere il proprio punto di vista, affermandolo con fervore ed energiche argomentazioni di fronte ai suoi interlocutori dalle opinioni differenti e, quando sarà riuscito a convincerli della fondatezza delle tesi che sostiene, potrà finalmente ritenersi soddisfatto.
Può capitare che questa spinta sana all’autoaffermazione venga scambiata per oppositività o, peggio, per aggressività, e che si rischi così di rispondere in maniera inappropriata, magari ostacolandola. Questo “errore” di valutazione diventa problematico quando troppo frequentemente commesso da figure significative nei confronti di bambini che cercano di far valere la propria volontà con loro. È facile allora che l’assertività iniziale venga trasformata davvero in aggressività – con cui, in un certo senso, è imparentata – per la rabbia che un simile fraintendimento suscita a causa l’impossibilità di essere capiti.
La rabbia vera e propria
La rabbia è l’emozione associata al sistema motivazionale avversivo. Essa è vitale in quanto consente di reagire prontamente alle situazioni di pericolo con l’attacco o la fuga. Nel dettaglio, mentre la paura smuove la reazione di fuga, la rabbia è l’emozione che si associa alla reazione antagonistica o di attacco.
Essa è impiegata dal bambino piccolo come richiamo rivolto, sotto forma di pianto, a chi lo accudisce, per segnalare la mancata soddisfazione dei bisogni afferenti ad altri sistemi motivazionali al fine di ripristinare l’equilibrio interno.
Nei legami affettivi la rabbia è impiegata in maniera costruttiva per scongiurare la perdita o la rottura del legame stesso, quando il legame rischia di rompersi, ad esempio a causa di un determinato comportamento dell’altra persona che ci fa appunto arrabbiare. Un genitore il cui figlio gli manchi di rispetto o si allontani pericolosamente per strada si arrabbierà con lui per richiamarlo a sé; analogamente una persona che si senta tradita dal partner esprimerà rabbia nei suoi confronti.
La collera
La collera può essere intesa come una degenerazione della rabbia. La collera diventa tale quando la rabbia, in un’epoca della nostra vita, quella infantile, in cui si è completamente dipendenti dagli altri, non ha funzionato a lungo bene come segnale, perché le persone a cui era rivolto non hanno saputo provvedere sensibilmente ad alleviare la fonte del disagio che si intendeva comunicare.
Quando la rabbia diventa collera, essa va oltre la sua funzione adattiva di salvaguardia dell’individuo, finendo per essere un’emozione ingombrante, scatenata anche da minimi stress, presente anche in situazioni in cui non è desiderabile bensì perfino controproducente per sé stessi, oltre che per gli altri. Difficilmente infatti si riesce a padroneggiarla, per il modo tumultuoso in cui si presenta, finendo il più delle volte per diventarne succubi.
Considerata in questi termini, lungi dall’essere una pulsione innata e distruttiva, come aveva teorizzato Freud, l’aggressività “caratteriale” è il frutto di esperienze negative.
L’aggressività passiva
Sul versante opposto alla collera si colloca, in maniera altrettanto problematica, l’inibizione della rabbia, quando non si è stati incoraggiati ad esprimerla ma, al contrario, si è cresciuti con il divieto, anche implicito, di sollecitare o prendere parte a qualsiasi forma di conflitto interpersonale.
In questi casi si entra in una specie di circolo vizioso, nel senso che l’evitamento del conflitto induce ad accondiscendere alle richieste degli altri, cosa che poi fa sentire frustrati e arrabbiati a causa della rinuncia alle proprie posizioni o ai propri bisogni. Ma, proprio perché la rabbia è avvertita come un’emozione proibita, essa viene fuori indirettamente, in tal modo logora chi la prova ma non è per niente efficace.
Questa modalità in psicologia è chiamata passivo-aggressiva. Non è raro che le persone che la mettono inconsapevolmente in atto siano maggiormente predisposte alla depressione. Le persone che invece ne sono bersaglio in genere la percepiscono ma, non essendo la rabbia esplicita e non potendo essere quindi oggetto di confronto costruttivo, finiscono per allontanarsi, con il risultato di lasciare in uno stato di solitudine, frustrazione e abbandono, le cui cause spesso sono incomprensibili a chi le vive.
Quello che sfuma in questi casi è la possibilità – o il diritto – di manifestare chiaramente ciò che si prova senza dover per forza temere di risultare sgraditi, di venire respinti o di distruggere il rapporto con l’altro.