Non accettate spiegazioni vaghe o generali su ciò che vi accade o vi disturba! Non cercate ricette preconfezionate su come vi sentite! Né prendete per buone soluzioni universali che non si adattano precisamente alle persone che siete, alle vostre storie del tutto uniche e irripetibili. Chiedete piuttosto l’aiuto di una figura qualificata – cercando per esempio su internet, se non avete altri canali, attacchi di panico Milano – per ottenere una comprensione rispettosa e profonda di voi stessi, che sappia aprire al benessere che state cercando.
Quello di cui parlerò è un interessante caso clinico, tratto dalla letteratura psicoanalitica, che dimostra chiaramente come qualsiasi disagio psicologico, nella fattispecie ansia e attacchi di panico, non abbia mai una spiegazione generale e valida per chiunque, che non tenga conto delle differenze individuali. Essa è sempre da ricercarsi nella specifica struttura psicologica e nella particolare storia di vita di ognuno.
Una cura psicologica ben condotta da uno psicologo che si occupi di attacchi di panico Milano – d’ora in poi, per comodità, mi riferirò così al professionista che se ne occupa – non può non tenere conto di questo, se mira a raggiungere risultati soddisfacenti ed a lungo termine.
Gli attacchi di panico: sintomi, funzioni e complicazioni
Prima di tuffarci nella interessante lettura del caso, dirò qualche parola a proposito degli attacchi di panico.
Gli attacchi di panico sono solo il sintomo. Cosa voglio dire con questo? Che, benché per le persone che ne soffrono essi rappresentino, comprensibilmente, il problema – per la forza dirompente con cui si manifestano, per le violente manifestazioni corporee con cui si verificano e per la paura che lasciano per la possibilità che si ripetano all’improvviso -, in realtà sono più che altro la spia di un malessere sottostante che ha trovato proprio quella strada per esprimersi e per avvisare chi ne è attanagliato che forse è arrivato il tempo di prendersene cura. Anche perché, da quel momento in poi, la qualità della vita ne risentirà moltissimo. Quando si è vissuto un attacco di panico, il terrore che possa succedere ancora fa sì che si adottino una serie di misure precauzionali per scongiurarne la ricomparsa. Ad esempio, si potrebbero limitare tutte le attività che normalmente si svolgevano per evitare di ritrovarsi in situazioni simili a quella in cui l’attacco di panico ha avuto luogo la prima volta (come uscire per strada, fare un certo percorso a piedi, prendere certi mezzi di trasporto, e così via), oppure si potrebbe dover fare ricorso, nelle medesime situazioni, alla presenza di qualcuno di fidato con cui sentirsi un po’ più al sicuro, con il risultato di non riuscire più a fare le proprie cose da soli e di dover dipendere troppo dagli altri. D’altra parte, proprio la paura del ripresentarsi dell’attacco di panico finisce per diventare un fattore predisponente.
L’esperienza degli attacchi di panico è sconvolgente: la persona che li prova pensa di stare per morire. Può trattarsi di crisi respiratorie che causano un senso di soffocamento, di sintomi simili a quelli di un attacco cardiaco oppure di giramenti di testa che esitano in svenimenti: in tutti questi casi, l’esperienza che si fa è di rischiare la vita. Non stupisce quindi che, dopo un simile vissuto, sia facile acquistare la giusta motivazione per fare il passo – magari fino ad allora rimandato – di contattare uno psicologo per attacchi di panico Milano e di cominciare una psicoterapia. È questa infatti la direzione in cui bisogna muoversi, se si vuole stare meglio.
Il caso
David era un giovane adulto di 28 anni. Fu inviato dallo psicoanalista dal medico di famiglia, in seguito a vissuti di forte ansia e panico scatenati dall’aver fumato uno spinello in occasione della festa di laurea di un amico.
Lo sviluppo del caso
Lo psicoanalista, nella scrittura del percorso clinico con questo paziente, fa sapere che dopo un certo periodo di psicoanalisi, fu possibile delineare un’interpretazione dell’ansia e dell’attacco di panico che avevano colpito David che teneva conto della storia e della organizzazione psicologica di quest’ultimo.
Precisamente, nel resoconto clinico si legge:
“[…] Scoprimmo che il suo rapporto con i genitori adottivi era dominato dalle loro reazioni a questioni riguardanti la sua espansività e salute. Suo padre si preoccupava dell’abuso di droga e usava ogni occasione per far capire a David come fossero pericolose le droghe, o come si potesse diventare pazzi o danneggiati al cervello con le droghe. Tale ammonimento veniva continuamente presentato a David, ben oltre ciò che sarebbe stato utile per lui da una prospettiva educativa. C’era anche un aspetto più generale della relazione con suo padre, che implicava le reazioni di quest’ultimo agli stati espansivi (slanci di entusiasmo) di David. Questi descrisse come correva in modo esuberante sulla spiaggia, durante la sua crescita. Suo padre era costantemente preoccupato e gli diceva ripetutamente di fermarsi. Divenne chiaro, così, che uno dei principi organizzativi (convinzioni radicate) era che gli stati di eccitamento intenso e di vitalità fossero pericolosi e che il suo legame con il padre trasmetteva ripetutamente questo significato“.
Lo psicoanalista di David conclude, a proposito dell’attacco di panico:
“Interpretai che l’atto di fumare una droga aveva assunto un enorme significato simbolico per lui. Egli si era trovato a una festa, sentendosi eccitato ed espansivo, e aveva tentato inconsciamente di liberarsi della relazione con suo padre e con il suo impatto limitante. Voleva avere la propria esperienza di essere vivo ed eccitato. Egli era stato, invece, reattivamente colto dal panico. Gli dissi che il panico, che veniva collegato con la droga, non era stato compreso da lui come un tentativo di liberarsi dalla prospettiva che il padre aveva di lui come fragile e vulnerabile. Egli avvertiva che la mia interpretazione era corretta e si sentì molto sollevato”.
Quello che aggiungerei in proposito, affinché questo caso veicoli il messaggio giusto a chi si trova in una condizione simile, sebbene mi sembri che il caso parli da sé, è che sarebbe stato molto facile – ma altrettanto semplicistico -, ad esempio per il medico di famiglia, ricondurre genericamente l’attacco di panico di David allo spinello che aveva fumato ed “archiviare” in questo modo tutta la faccenda. Fortunatamente non è andata così e a David venne data – o David stesso si andò a cercare – l’opportunità di indagare più a fondo quanto gli stava accadendo, guadagnando una conoscenza più approfondita di sé e un migliore assetto psicologico. Questo ha anche impedito che il malessere che covava dentro si facesse sentire in altri modi, in aggiunta o in alternativa agli attacchi di panico di cui era vittima in quella fase della sua vita.
(Caso clinico tratto dal libro di R. D. Stolorow, G. E. Atwood e B. Brandchaft “La prospettiva intersoggettiva”, 1996, Borla).
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